Ora che le foto drammatiche del fiume Po in secca sono sotto gli occhi di tutti, la domanda su quali sono le risorse idriche nel nostro Paese e come le stiamo gestendo è tornata d’attualità.
Dagli anni Ottanta è mutata la distribuzione delle piogge, per cui i periodi di siccità sono progressivamente aumentati, in particolare con una diminuzione della pioggia estiva. Questo fenomeno al Sud era considerato quasi “normale”, ma da quest’anno le aree più colpite sono Nord, Nord Est e Centro, con i grandi fiumi in evidente secca.
In Italia la media di piogge è superiore a quella dell’Inghilterra (a Roma piove più che a Londra!), ma bisogna considerare come piove, perché un temporale che scarica diversi metri cubi d’acqua in pochi minuti ha un diverso impatto rispetto ad una pioggia sottile e continua. Poi, il punto cruciale è che i nostri corsi d’acqua hanno carattere torrentizio, mentre i fiumi del Nord Europa scorrono per chilometri con portate ampie.
Il problema è che, anche se l’Italia ha delle potenziali risorse d’acqua, non ha le infrastrutture per convogliarle. Le nostre infrastrutture di stoccaggio sono state in gran parte realizzate nell’800, le ultime dighe risalgono agli anni Sessanta e non viene fatto nessun tipo di manutenzione. Così abbiamo anche la maggiore percentuale di perdita (il 42% certificato dall’autorità) con alcuni picchi drammatici al Sud, dove immetti due litri d’acqua nelle reti per averne meno di uno, con uno spreco incredibile anche di energia.
In questa situazione si deve agire subito, anche perché dal 26 giugno 2023 scatteranno le nuove regole UE per il riutilizzo delle acque reflue, rispetto alle quali siamo totalmente inadempienti.
Fonti: repubblica.it